Tanti anni di ingiustizie e di chiacchiere sulla pelle dei familiari di vittime innocenti e casuali della criminalità organizzata e non. Non solo si sono visti strappare un proprio caro dalla violenza della camorra, mafia o terrorismo ma dopo aver ottenuto con fatica giustizia nei tre gradi dei processi, puntualmente i familiari diretti delle vittime hanno avuto chiusa a doppia mandata la porta per l’accesso al risarcimento o ristoro, elargizioni e l’assegno vitalizio da parte dello Stato.
Situazioni vergognose determinate da un mostro giuridico che vagliava rapporti di parentela e di affinità fino al quarto grado, che includono una vasta categoria di persone e si caratterizzano per una diversa, talvolta più tenue, intensità del vincolo familiare. In pratica è sufficiente che il parente o l’affine entro il quarto grado sia sottoposto a un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o che a tale misura sia già in concreto assoggettato o che, in alternativa, sia coinvolto in un procedimento penale per perdere ogni diritto.
La normativa è stata ancora più arricchita di altri elementi da creare un meccanismo che, al rapporto di parentela o di affinità fino al quarto grado ci possa essere una cerchia più estesa di parenti e affini. Irragionevolezza e contraddizioni che hanno indotto La Corte Costituzionale a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 quinquies limitatamente alle parole “parente o affine entro il quarto grado”. All’ingiustizia normativa si è affiancata spesso la rigida e ottusa interpretazione del funzionario di turno che di fronte all’evidente contraddizione si nascondeva dietro cervellotici cavilli. Una grave ingiustizia, un odioso pregiudizio, un nonsenso che ha rappresentato un attentato ai diritti fondamentali del familiare diretto della vittima innocente.
Ci sono casi, ne sono molti, che dopo aver combattuto per anni nelle aule giudiziarie per ottenere sentenze di condanna degli autori e in alcuni casi mandanti di omicidi, cosa non scontata, e indebitarsi per corrispondere parcelle di avvocati, consulenti, senza dimenticare le spese legali per presentare ricorsi e istanze si sono visti negare un diritto e quindi ricominciare nuove battaglie presso Tar e Consiglio di Stato.
La procedura del risarcimento è una lunga e tortuosa strada da percorrere tra Prefettura e Ministero dell’Interno passando per svariate commissioni e uffici dedicati con presentazione di migliaia di documenti, certificati, atti notori. La beffa giunge quando in una raccomandata il funzionario di turno comunica la decisione della commissione racchiusa in poche righe che informa l’esclusione dal contributo ma lasciando però l’opportunità di presentare un ricorso inutile. Negli anni iniziative di deputati e senatori, proposte di legge depositate in commissione, interrogazioni parlamentari, atti ispettivi non hanno scalfito il mostro giuridico.
A rompere il muro dell’ingiustizia ci ha pensato l’avvocato Giovanni Zara che da anni si occupa di questi temi. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 122 depositata stamane ha dichiarato illegittimo il quarto grado che escludeva dai benefici di legge i familiari delle vittime innocenti delle mafie.
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