“QUESTA VINCE e e questa perde. Non c’è trucco. Non c’è inganno. Ecco signori fate il vostro gioco, puntate”. Le tre carte sono disposte sul tavolino con la certezza che vincerà solo chi organizza il gioco.
E se per coincidenze astrali non vincono i soliti noti allora spuntano i fedeli compari che rovesciano il tavolo. È quello che è accaduto al Teatro San Carlo di Napoli. C’è il presidente della Fondazione, il sindaco di Napoli Luigi de Magistris che ha detto no all’adesione del lirico partenopeo alla legge Valore Cultura.
Una legge che parla solo a chiacchiere di Valore e di Cultura, ma nei fatti impone un taglio del 35% dei salari delle lavoratrici e dei lavoratori, oltre che un taglio della stessa pianta organica e più che altro spalanca le porte a strane esternalizzazioni.
Come spesso accade il primo cittadino parla arabo e nessuno lo capisce. Del resto lui non è non politico e le ciucciuvettole lo danno morto e sepolto. Insomma i componenti del consiglio d’amministrazione non si aspettavano che il morto parlasse e allora presi alla sprovvista ma ampiamente messisi d’accordo prima hanno rovesciando il tavolo (la metafora di cui sopra).
Curioso, davvero curioso. E tra i dimissionari del Cda di soppiatto è spuntato anche il deputato berlusconiano Luigi Cesaro, meglio conosciuto come ‘Giggino a’ purpetta‘. Un politico di lungo corso e con un passato pesante che non è mai passato, anzi. La domanda sorge spontanea: ma l’onorevole Giggino a’ purpetta a che titolo sedeva nel cda del teatro San Carlo? Mistero.
Cesaro era contemporaneamente deputato e presidente della Provincia di Napoli. Alla vigilia delle nuove elezioni nazionali fu votata o meglio pilotata la sua decadenza. Al suo posto fu designato il suo delfino Antonio Pentangelo, assessore provinciale ai Trasporti. Ora se 2+2 fa 4 nel cda della Fondazione Teatro San Carlo in quota della Provincia di Napoli ci doveva essere seduto Pentangelo, ma non Cesaro. Ancora mistero.
Tra l’altro le numerose assenze di Giggino ‘a purpetta alle convocazioni dei Consigli d’ amministrazione spesso non hanno fatto raggiungere il numero legale dell’Ente paralizzando la stessa governance della Fondazione. Ma la cosa che davvero non si capisce è quali impegni economici la stessa Provincia di Napoli, la Regione Campania, la Camera di Commercio e il ministero dei Beni culturali hanno preso verso il Teatro San Carlo.
Boh! Stranamente gli stessi rappresentanti di queste istituzioni – debitori incalliti verso il lirico – hanno risposto tutti alla convocazione dell’ultimo Cda, si sono alzati e si sono dimessi all’unisono. Che coincidenza. E considerando che in Italia nessuno si dimette, mi sembra il tutto alquanto sospetto. Ucci, ucci, ucci…Il commissariamento del Teatro San Carlo era già stato ampiamente deciso.
Il ministro Massimo Bray si è prestato sfilando al Comune di Napoli la gestione del lirico della città. Un destino già visto. Il Teatro San Carlo per molti anni è stato gestito da Salvatore Nastasi, (l’enfant prodige di Gianni Letta) potente funzionario del Ministero, direttore generale per gli Spettacoli dal vivo e più che altro l’inventore del fondo Valore e Cultura.
Nastasi da commissario straordinario, da capo di gabinetto del Mibac, ma anche da direttore generale per lo “Spettacolo dal vivo”, modificò lo statuto della Fondazione Teatro San Carlo aprendolo al sociale e introducendo una serie di attività tra cui la nascita di un museo, corsi di formazione, eventi e tante altre cose.
Casualmente parte di queste stesse attività hanno visto l’importante contributo professionale di Giulia Minoli, moglie di Nastasi e più che altro figlia dell’inventore di Mixer, Giovanni. Uno statuto più flessibile anche per avere una maggiore autonomia e accogliere società esterne di produzione. Ecco è un dejavù.
Il Teatro San Carlo governato per anni da Nastasi è stato un banco di prova per la messa appunto della legge Valore e Cultura. Una legge a cui già molti teatri – gravati da debiti e non è il caso del Teatro San Carlo – hanno aderito cedendo la loro autonomia agli azzeccagarbugli del ministero.
Forse qualcuno dall’alto si è ricordato di Napoli ed ha deciso di riprendere il lavoro lasciato a metà. Allo scoccare dell’ora x i Stefano Caldoro, i Riccardo Villari, i Luigi Cesaro, i Maurizio Maddaloni ovvero le solite maschere da palcoscenico hanno abbassato il sipario. Trasformando il teatro San Carlo in un tempio per i soliti mercanti.
Arnaldo Capezzuto