“TENGO SETE. Dov’è l’acqua? Dove sono le bottiglie? Nel frigorifero non c’è nulla. Hai capito?. Mamma, l’acqua fredda…Pigliami l’acqua…l’acqua…l’acqua…la voglio fredda…”. Non è voce di figlio. Forse lo è stato. Un primo schiaffo.
Poi un secondo. Un pugno sferrato con estrema violenza e diretto all’addome. Un cazzotto nella tempia. Un calcio seguito da un altro.
E’ un accanimento. Odio e rabbia insieme. Non si ferma. Lei a terra, accasciata. Il volto pallido. Il vomito. Un rigurgito di sangue. Il rantolo. Un lamento tenue. Anna Fiume, 52 anni, era una mamma napoletana. Aveva scelto di stare accanto a Ciro, 28 anni, uno dei suoi figli, il più debole. Era il suo cruccio. Un ragazzo fragile. Non riusciva a liberarsi dalla droga. Anna era ritornata a vivere. Ciro era stato accolto nella comunità di San Patrignano. Una disintossicazione che faceva ben sperare. Era di nuovo lui.
Gli occhi delicati del suo bambino ritrovato. I baci inaspettati. Le tenerezze di un figlio. Il sogno dura poco, troppo poco. Ciro ripiomba nel vuoto. Comincia con l’altra di vita. Le uscite notturne con gli amici, le sbandate, le tenebre della cocaina. Anna abitava in via Ghisleri lotto Sc2 quartiere Scampia. Le coordinate geografiche contano poco in questa tragica storia.
Certo siamo nella periferia Nord di Napoli. I pusher sono sotto casa, sono parte dell’arredo urbano. E’ un andirivieni di zombie ricurvi in cerca della dose quotidiana. Anna non mollava. Un silenzio ostinato, una sofferenza celata, una grande dignità. “Ciro è un bravo ragazzo. E’ stato sfortunato. Continuo a volerlo bene. Ne uscirà”.
Così si faceva forza. Così raccontava a se stessa quando sentiva affievolirsi la speranza. C’erano momenti di pura disperazione: il cuore, i reni, il diabete la inchiodavano per settimane a letto e i pensieri lievitavano. Per giunta i soldi dell’assegno del mantenimento mensile dell’ex marito non bastavano mai. A volte restava digiuna per Ciro.
Quel figlio non era un Santo. Bastava un non nulla. Aveva il rancore nel cuore. La polvere bianca trasforma, deforma, devasta l’anima. Randagio, irascibile e violento. Ne sa qualcosa un parroco della zona: gli voleva solo tendere una mano. Ne ha ricevuto pugni e calci. Un’aggressione che Ciro pagherà con una denuncia a piede libero.
Aveva un unico pensiero: racimolare i soldi per la dose. Tanti piccoli lavoretti: giardiniere, imbianchino, parcheggiatore abusivo. Una vita di stenti, una vita al buio, una vita senza la luce della speranza. “Andiamo al Sert parliamo con un medico. Qualcuno deve aiutarci. Ti supplico fallo per me”. Anna ci credeva.
E’ l’ostinazione di una mamma. “Ciro non è come appare” ripeteva a chi le consigliava di gettare la spugna. Si trascinava con fatica. Camminava sorreggendosi ovunque e quando portava le borse della spesa trovava sempre qualcuno che l’aiutava. Tutti conoscevano Anna e sapevano il peso della sua croce.
“Le ho dato due schiaffi e un calcio” giuria e spergiura Ciro agli agenti del commissariato di polizia che lo interrogano. Trascorrono le ore e nella testa si riassorbe l’effetto della cocaina, le ombre sfumano diventano immagini messe a fuoco.
“Non volevo ucciderla…era mia madre” lo dice, lo ribadisce, lo invoca tra le lacrime e la disperazione durante un nuovo interrogatorio. E’ lucido e consapevole della gravità di ciò che è accaduto.
Per un attimo intravede suo padre e torna un fanciullo disarmato con gli occhi rigonfi di lacrime. Ciro ora è in prigione. E’ accusato di aver ucciso sua madre. Una violenta lite scoppiata alle 4 del mattino per un bicchiere d’acqua fredda.
Arnaldo Capezzuto
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